Un salto nel passato per ripercorrere la storia della polenta
Che i cereali si mangino fin dall’antichità non è un mistero. Non è dunque difficile immaginare che macinandoli e mischiandoli con un po’ d’acqua su del fuoco, i nostri progenitori abbiano creato qualcosa di molto vicino alla nostra polenta.
Del resto, il termine stesso “polenta” affonda le sue radici nell’antica Roma, nel latino “puls” con il quale si indicava una pappa a base di farina di farro, generalmente servita con formaggi e carni varie.
La polenta con la farina di mais, così come la consumiamo noi, invece, è figlia della Modernità: fino alla scoperta dell’America, oltre al farro, si utilizzavano miglio, grano saraceno, sorgo e panico. È solo con Colombo che il mais fece il suo ingresso nel Vecchio Continente: nel 1525 era già coltivato in Spagna e Portogallo e si hanno notizie di farina gialla nel Friuli e nel Veneto nel 1550-1555.
Successivamente, la coltivazione del mais iniziò a diffondersi in tutta la Pianura Padana e anche nelle contigue fasce collinari. La polenta divenne un piatto estremamente popolare, che risolse enormi problemi alimentari, pur causando la pellagra quando il consumo divenne eccessivo ed esclusivo.
Come mai la farina per la polenta si chiama anche farina di “granturco”?
Nel ‘500, tutto ciò che era straniero ed esotico veniva etichettato con il termine “turco”, a maggior ragione il mais, che proveniva dall’altra parte del mondo. Nonostante questa sia l’ipotesi più accreditata, a lungo si è pensato che il nome potesse derivare dal fatto che questo cereale fosse entrato in Europa tramite l’Impero Ottomano.
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