Un viaggio tra la storia e la geologia dell’oro fisico
Un soprannome che viene da lontano
Nell’Ottocento l’area tra Astano, Sessa e l’Alto Malcantone si guadagnò il nomignolo di “California del Ticino”: il confine tra Canton Ticino e Lombardia attirava cercatori di fortuna, mentre numerose miniere aurifere (sfruttate già in età romana) venivano più volte riaperte e richiuse in base alla convenienza economica.
Oggi il fascino resta, ma l’estrazione non è più profittevole: i costi superano i benefici.
Da dove arriva l’oro?
L’oro presente lungo il Ticino è in larga parte alluvionale: nasce nei giacimenti primari alpini (tra cui il massiccio del Monte Rosa e, sul versante svizzero, le miniere di Gondo), viene liberato dall’erosione e trasportato a valle, dove si deposita nelle anse e nelle “punte” create dalle piene.
Nelle sabbie del fiume si ritrova come lamine/pagliuzze da 2–4 mm; nella zona di Golasecca non sono esclusi rari frammenti fino a 1,5–2 cm.

Dai Romani ai cercatori del Novecento
Fonti antiche ricordano l’impiego (citato da Plinio il Vecchio) di 5.000 schiavi nelle “aurifodinae” della Bassa Gallia (tra Piemonte e Lombardia occidentale).
La tradizione prosegue per secoli: Castelnovate coniò monete locali; fino a pochi decenni fa, in paesi rivieraschi come Motta Visconti, si usava regalare fedi nuziali in oro del Ticino.
Come si cercava (e si cerca) l’oro di fiume
La ricerca lungo il Ticino è sempre stata “leggera”: batea, setacci e canaline in legno per sfruttare il peso specifico dell’oro, che resta sul fondo mentre la sabbia più fine viene lavata via.
Escavatori e draghe oggi non sono ammessi sul fiume; l’attività è perlopiù hobbistica e legata a piene eccezionali, benché le siccità recenti abbiano ridotto il rinnovamento dei depositi.

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Fonti: focus.it, swissinfo.ch
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